martedì 14 febbraio 2012

Giardini di luce

Cameo raffigurante il re sasanide Shapur I che cattura l'imperatore romano Valeriano, Cabinet des médailles, Parigi.

Amin Maalouf, Giardini di Luce (Les Jardins de Lumière, 1991), "Tascabili. Best Seller", 725, Bompiani, Milano, 2001, traduzione dal francese di Emanuela Fubini, 264 pagine.

"Lo ammetto, ti ho nascosto delle cose, ma non ho mentito. Se vedessi su questo prugno una gemma fiorita e dicessi 'ecco una prugna', mentirei? Assolutamente no, semplicemente precederei di una stagione la verità". p. 47

"E Malco?"
"Tra lui e me non c'è mai stata una promessa."
"Sono anni che sogna..."
"Devo esaudire i sogni degli altri?" p.69

Daibal, diceva il capitano? La città si ergeva nel delta dell'Indo, su un braccio che le alluvioni spinte a valle dalle montagne più alte avevano gradatamente insabbiato. Di anno in anno le barche in grado di raggiungerla erano più rare. Un mattino, il porto si svegliò in mezzo alle terre, come naufragato. Gli uomini, da allora, la disertarono per altri luoghi dei dintorni, Tata, Sinhi, Lahri, e più tardi Karachi.
Cos'è rimasto di Daibal? Cos'è rimasto dei suoi palazzi, dei suoi templi sulle colline, della sua dogana color mattone, quel casamento che i marinai da lontano cercavano con impazienza come un faro? Fino al diciassettesimo secolo, alcuni viaggiatori segnalavano ancora la sua esistenza. Poi tutto si è perduto. Non il minimo segno di una località, non l'ombra di una rovina. Più nessuno ne sa niente. Al momento in cui vengono scritte queste righe, gli archeologi esplorano ancora le bocche dell'Indo in cerca di un vestigio di vestigia. p. 112

"Le mie parole non verseranno il sangue. La mia mano non benedirà le spade. Né i coltelli dei sacrificatori. Neppure l'ascia di un taglialegna". p.199

Appena fondate, subito abbandonate, molte città promesse all'eternità ridiventavano frutteti o pascoli. Indicate soltanto da una stele, avrebbero atteso nel tempo immobile la pala sapiente di qualche archeologo. p. 226

La copertina







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